L’analisi strutturale delle costruzioni in muratura

Pietro Lenza

1. Premessa.

Chi affronti l’analisi strutturale di una costruzione in muratura deve confrontarsi con una problematica profondamente diversa rispetto all’analisi di costruzioni realizzate con le tecniche costruttive contemporanee più comuni quali il c.a. e l’acciaio.

Innanzitutto per le costruzioni in muratura si tratta quasi sempre di analizzare edifici esistenti mentre per le altre prevale in genere il progetto e quindi l’analisi di nuove costruzioni. Non è però questo l’aspetto, certamente importante, che si vuole qui discutere quanto piuttosto quello inerente la modellazione e le procedure di analisi per la valutazione della capacità della struttura, con particolare riferimento al problema sismico.

Nel caso, ad esempio, di un edificio intelaiato in c.a., tema sicuramente prevalente nell’attività professionale, non si nutrono incertezze nella scelta del modello strutturale di riferimento. Il telaio, inteso come insieme di aste, corrisponde bene anche geometricamente alla realtà strutturale. La monoliticità dei nodi, la netta prevalenza della deformazione flessionale rispetto a quella estensionale e (salvo qualche eccezione) tagliante sono aspetti pacificamente recepiti. Si assumono con fiducia i vincoli dei ritti di base del telaio, generalmente incastri, essendo il sistema fondale per motivi geotecnici più massivo e quindi nettamente più rigido della struttura in elevazione. L’impalcato, generalmente assimilabile ad un diaframma rigido e resistente nel piano orizzontale, costituisce quel vincolo interno che lega i singoli telai piani in un sistema spaziale (c.d. telaio spaziale). Adoperiamo con fiducia un’analisi elastica lineare in presenza di un materiale strutturale che assicura un comportamento bilaterale.

Ove si voglia affrontare un’analisi non lineare la plasticizzazione limitata ad alcuni tratti (generalmente di estremità) delle aste consente, con buona approssimazione, di ricorrere a modelli a plasticità concentrata utilizzando le c.d. cerniere plastiche.

Si opera cioè in un quadro di ragionevole certezza e fiducia negli strumenti di analisi e, nel caso inevitabile di ricorso a strumenti di software commerciale, non è difficile il controllo, sempre necessario, dei risultati numerici.

Nel caso delle costruzioni in muratura il contesto è profondamente diverso ed è caratterizzato da grande incertezza sia nella scelta dei modelli che nelle procedure di analisi.

Il materiale muratura ha un comportamento unilaterale, presentando una trascurabile resistenza a trazione e questo renderebbe inapplicabile un’analisi elastica lineare. Tuttavia ove si consideri l’effetto della “precompressione naturale” dovuta ai carichi gravitazionali (con netta prevalenza del peso proprio) la “richiesta” di trazione derivante dagli effetti flessionali si traduce in realtà in una decompressione di una parte della sezione. Nei limiti quindi di questa decompressione l’analisi elastica lineare conserva una sua problematica validità.

Ancora più problematica appare l’analisi non lineare correlata alla non linearità del materiale. Abbiamo infatti necessità di interpretare fenomeni diversi:

- La rottura fragile a trazione delle sezioni pressoinflesse (quando si esaurisce l’effetto della compressione gravitazionale), che determina una parzializzazione della sezione e quindi una riduzione della sezione resistente.

- La rottura fragile per taglio/trazione di elementi setti che quando non determina il collasso del sistema produce comunque una repentina ridistribuzione delle sollecitazioni.

- La plasticizzazione per compressione delle sezioni pressoinflesse per le quali la modellazione a plasticità concentrata (cioè con cerniere plastiche) appare problematica per la geometria degli elementi difficilmente assimilabili ad aste snelle; a tale approccio risulta tuttavia difficile rinunciare per mancanza di alternative che siano abbastanza semplici per essere proposte nelle applicazioni professionali.

L’analisi plastica, intendendo con questo termine la tradizionale analisi limite finalizzata alla determinazione del carico che determina un possibile meccanismo, decisamente trascurata per le costruzioni contemporanee in c.a. ed in acciaio, diviene in questo settore strumento di grande importanza. Appare evidente tuttavia come, nel caso di organismi complessi non riconducibili al classico caso dell’equilibrio al ribaltamento del blocco singolo, occorra prevedere tutti i possibili meccanismi correlati alle possibili disarticolazioni del sistema. Ed inoltre, nel caso di analisi sismica, la natura rigido labile del modello non consente di valutare l’entità delle azioni orizzontali legate al sisma probabilisticamente atteso in un determinato sito né la loro distribuzione. Infatti coerentemente con la natura rigido-labile del modello dovremmo considerare ordinate spettrali corrispondenti a periodi nulli (nella fase iniziale) ed infiniti nella fase cinematica, con conseguenze drammatiche sull’affidabilità del calcolo perché si rischierebbe di non tener conto della possibile amplificazione dell’accelerazione trasmessa dal suolo.

Per quanto riguarda l’estensione del modello (locale o globale?) si evidenzia ancora una forte differenza rispetto alle strutture contemporanee. Le costruzioni in muratura presentano spesso comportamenti di parti limitate della struttura indipendenti gli uni dagli altri. Questo lascerebbe intravedere una maggiore facilità di analisi di organismi strutturali complessi se tuttavia fosse evidente quali siano effettivamente queste parti. Non mancano inoltre situazioni nelle quali prevale l’esigenza di un’analisi globale della costruzione ed infine entrambi gli approcci potrebbero rivelarsi necessari specie se si fa riferimento prima alla configurazione originaria e successivamente a quella modificata dagli interventi di miglioramento.

Il quadro è pertanto complesso ed in una certa misura scoraggiante; appare evidente come nessuna modellazione o analisi appaia affidabile e soddisfacente anche se ciascuna di esse potrà fornirci informazioni utili.

Una sfida quindi alla capacità del progettista strutturale che comunque non potrà sottrarsi ad una precisa assunzione di responsabilità.

Il problema nasce essenzialmente dal voler utilizzare strumenti di analisi “pensati” per le tecniche costruttive contemporanee nelle costruzioni storiche in muratura, magari forzandone l’impiego (quasi tirandoceli per i capelli!) per mancanza di alternative. Ciò dipende dal fatto che la Scienza e la Tecnica delle Costruzioni si sono dedicate nel secolo scorso quasi esclusivamente ai nuovi materiali trascurando la murature; solo negli ultimi decenni si è cercato di recuperare (i terremoti hanno risvegliato le coscienze e le conoscenze) determinando il quadro culturale attuale.

2. Modelli strutturali e procedure di analisi.

Esaminiamo con maggiore dettaglio gli strumenti disponibili.

Possiamo individuare due livelli di scelta:

A.    Modello strutturale

B.     Procedura di analisi.

Certamente i due suddetti livelli non sono variabili del tutto indipendenti tra loro; tuttavia conviene per ora elencarne separatamente le possibili alternative.

Modelli strutturali:

a) Continuo bidimensionale (modellazione di volte e cupole in regime membranale o flessionale ovvero di pareti intese come lastre).

b) Continuo bidimensionale (o tridimensionale) discretizzato (modellazione agli elementi finiti con la sua estesa gamma di varianti)

c) “Telaio” inteso come insieme di aste a rigidezza flesso/tagliante (modellazione di pareti con aperture frequenti e regolari)

d) Sistema di blocchi rigidi (modellazione di costruzioni murarie massicce)

e) Travi ed archi (modellazione di singoli elementi strutturali piani).

Le modellazioni di cui ai punti b e c possono riferirsi all’intera costruzione, ove se ne ipotizzi un comportamento globale, ovvero ad una sua partizione in sub sistemi ove se ne ipotizzi una sostanziale indipendenza di comportamento.

Procedure di analisi:

1) Lineare (elastica statica con azioni predefinite o elastica dinamica con azioni derivanti dalla sovrapposizione pesata delle diverse forme modali a loro volta da determinare con un’analisi agli autovalori, sempre in campo elastico lineare). Si assume per il materiale un legame costitutivo lineare elastico.

2) Non lineare elastica limitatamente alle non linearità geometriche. Legame costitutivo del materiale ancora lineare elastico.

3) Non lineare plastica estesa alla non linearità meccanica. Modello costitutivo del materiale elastico-plastico in compressione. La plasticizzazione viene considerata limitatamente ad alcuni tratti delle “aste” mediante le c.d. cerniere plastiche (plasticità concentrata) ovvero diffusa mediante modellazione a fibra.

4) Analisi limite incrementale considerando il materiale indeformabile e resistente, tenendo conto eventualmente solo di non linearità geometriche.

5) Analisi limite incrementale plastica ove lo spessore dei blocchi si considera ridotto per tener conto della possibile plasticizzazione.

Nel caso di azioni variabili nel tempo (come per l’input sismico da accelerogramma del suolo) le analisi di cui ai primi tre punti possono essere adottate con procedimenti al passo risolvendo nei vari istanti le equazioni di equilibrio dinamico.

3. Il Percorso dello strutturista.

Nell’ipotesi, sicuramente prevalente, di un edificio esistente il percorso inizia con la conoscenza dell’edificio. In questa panoramica non si approfondisce questo aspetto ma non si può non richiamare l’attenzione sul rilievo geometrico e materico della fabbrica, la lettura degli schemi strutturali (con particolare attenzione agli elementi spingenti) la determinazione delle caratteristiche meccaniche del materiale. Questa complessa ed importante attività conduce alla determinazione dei c.d. Fattori di Confidenza che trovano applicazione numerica nelle procedure di analisi. Nel caso di edifici di interesse storico artistico la predetta attività di conoscenza va integrata con l’analisi storica della fabbrica per riconoscere aspetti particolarmente meritevoli di conservazione. In definitiva l’attività va inquadrata nella complessa disciplina del Restauro Architettonico.

Dopo aver ricordato, senza approfondimenti, questa importante fase seguiamo il successivo percorso dello strutturista. Lo attende un’attività complessa e difficile.

In via preliminare si suggerisce di inquadrare la fabbrica in esame in una delle due seguenti categorie:

- Edifici speciali : caratterizzati da ampi vani con coperture voltate o a capriate lignee, destinati a funzioni di culto (Chiese o Conventi) o di rappresentanza civile (Regge o palazzi civici).

- Edifici normali: caratterizzati da una struttura cellulare multipiano con vani di modeste dimensioni ed impalcati orizzontali, adibiti alla normale funzione abitativa.

4. Edifici speciali.

Modellazione ed analisi globale.

Per una modellazione globale occorre ricorrere al metodo degli elementi finiti, utilizzando prevalentemente elementi bidimensionali tipo lastra/piastra. La laboriosità dell’input (anche se sono praticabili passaggi automatici da più accessibili modelli CAD) suggerisce di acquisire un modello il più possibile flessibile ad interpretare le possibili varianti strutturali connesse ad incertezze interpretative o ad interventi da progettare.

   

Fig. 1. Modellazione agli elementi finiti di un edificio speciale: Castello di Castelvolturno (CE)

In quest’ottica si consiglia ad esempio di modellare le pareti separate tra loro nelle croci di muro provvedendo con vincoli interni (costraints) a ripristinarne eventualmente la continuità in funzione dell’affidabilità delle suddette croci o degli interventi di consolidamento. Le frequenti eccentricità di forma dei diversi ordini murari costituisce un altro aspetto di rilievo per la modellazione. L’eccentricità degli assi può essere sostituita da momenti di trasporto dei carichi gravitazionali superiori ovvero modellata mediante bracci rigidi che determinano un profilo a scalini dei paramenti. Si sconsiglia di adoperare per i suddetti bracci elementi di elevatissima rigidezza, che potrebbero determinare problemi di instabilità numerica nei calcoli bensì di adoperare vincoli interni che assicurino il comportamento rigido del “braccio” diminuendo anche i gradi di libertà del sistema.

La copertura delle ampie aule deputate alle funzioni sociali sono realizzate o con strutture murarie curve (volte a crociera, a botte unghiate etc.) dotate o meno di catene o con capriate lignee spesso mascherate da cassettonati lignei. La modellazione strutturale deve tener conto del possibile effetto di incatenamento fornito da questi elementi ove siano ancorati alle pareti murarie. Anche in questo caso sembra consigliabile affidare ad eventuali vincoli interni (facilmente rimovibili dal modello) questo eventuale ancoraggio. Così pure per le catene c.d. lente (prive di pretensione) occorrerebbe tener conto della loro non immediata efficacia a trazione e della loro completa incapacità in compressione. L’impiego di elementi a resistenza unilaterale, spesso presenti nel software, trovano applicazione solo in analisi non lineari. Si consiglia quindi in questa fase sia di considerare che di trascurare la loro presenza.

 Per gli impalcati degli ambienti di piccola dimensione si rinvia alla trattazione degli edifici normali svolta più avanti.

L’analisi agli autovalori fornisce prime utili informazioni. I modi di vibrare individuano il possibile comportamento globale o, più verosimilmente, il comportamento dei sottosistemi, ciascuno con la sua massa partecipante ed il relativo periodo principale. I sottosistemi così individuati potranno essere oggetto di modellazioni ed analisi locali separate.

Fig. 2. Il primo modo di vibrare vede la partecipazione di una sola parete che oscilla fuori dal proprio piano.

Ove si voglia utilizzare la modellazione globale per analisi tensionali occorre tener conto di quanto segue.

Per quanto attiene la condizione non sismica, correlata praticamente ai soli carichi gravitazionali, occorre fare attenzione agli elementi spingenti. La modellazione con elementi lastra/piastra per le superfici curve o con elementi ”trave” per gli archi conduce sicuramente ad una sottostima delle spinte. Per una più realistica e conservativa valutazione delle spinte occorrerebbe infatti modellare le superfici e gli elementi curvi con elementi non flessionali (lastre per le superfici e pendoli per gli elementi monodimensionali). In questo caso però si andrebbe incontro a problemi di labilità sia per le superfici (tranne in qualche caso quelle a doppia curvatura) che per gli archi. E’ consigliabile quindi eliminare nel modello volte ed archi e riportare sul contorno di essi sia i carichi verticali che le spinte anche se solo speditivamente determinate (si utilizzi ad esempio lo schema di arco a tre cerniere per gli archi e le volte cilindriche).

Per quanto attiene le condizioni sismiche si può utilizzare un’analisi dinamica (sovrapposizione modale) facendo attenzione a coinvolgere un’alta percentuale della massa del sistema. Questo significa spesso tener conto di diverse centinaia di modi di vibrare alcuni dei quali significativi solo per singoli sottosistemi. Il calcolo è sicuramente laborioso e concettualmente irrazionale ma le prestazioni degli attuali personal computer consentono di superare queste obiezioni.

Le verifiche tensionali devono tener conto delle seguenti considerazioni.

L’output di un’analisi agli elementi finiti restituisce valori puntuali delle sollecitazioni con diffusi valori anche di trazione. Si suggerisce pertanto di individuare le sezioni significative degli elementi strutturali e di determinare, come risultanti delle sollecitazioni puntuali, le caratteristiche di sollecitazione (momenti, tagli e sforzo assiale). Con queste risultanti si effettueranno le verifiche delle sezioni utilizzando le formulazioni fornite dalla normativa che si fondano sulla verifica di sezioni di materiale non resistente a trazione. Può sembrare che non vengano presi in considerazione formazione di meccanismi correlati al ribaltamento di elementi murari. In realtà la crisi tensionale, ove si consideri il materiale non indefinitamente resistente a compressione, precede sempre la perdita di equilibrio per ribaltamento sicchè questa verifica rimane inglobata in quella tensionale. Anche la crisi per scorrimento dei blocchi può essere utilmente surrogata dalla verifica tensionale a taglio e sforzo normale.

Si opera comunque con l’ evidente contraddizione di utilizzare una discretizzazione del continuo con elementi di materiale resistente a trazione e di verificarne le macrosezioni tenendo conto più correttamente del carattere unilaterale del materiale

Ci stiamo muovendo per ora nell’ambito di un’analisi elastica lineare con tutte le riserve del caso. Al momento l’uso di codici di calcolo non lineare agli elementi finiti sembra proponibile per l’impego nella ricerca scientifica più che nella prassi professionale.

Modellazioni ed analisi locali.

Alcune criticità sembrano potersi superare nell’esame delle analisi locali riferite cioè a quei sottosistemi che possono avere un comportamento indipendente dal resto dal complesso della fabbrica.

Abbiamo già evidenziato come l’analisi globale lineare elastica può essere utile per individuare i submodelli e fornirne la massa partecipante ed il periodo principale tuttavia essi possono essere anche individuati sulla base dell’evidenza e dell’esperienza. Tipico esempio di submodello è la sezione strutturale dell’aula della fabbrica, la c.d. sezione maestra che è costituita da due o più sistemi verticali collegati da strutture curve o catene (lignee o metalliche). Ancora da considerare le pareti del fronte o della zona absidale e comunque possibili comportamenti di pareti o porzioni di esse fuori dal loro piano.

 Fig. 3. Alcune sezioni maestre di edifici di culto

Il sub sistema, comunque individuato, si caratterizza per elementi relativamente snelli che consentono di proporre una modellazione ad aste-travi, riportando su di essi le spinte e gli scarichi degli archi e tenendo conto delle eccentricità d’assi, come già discusso in precedenza. Si tratta di sistemi isostatici o debolmente iperstatici a causa del possibile collegamento in testa dei piedritti.

L’analisi elastica lineare può fornirci i periodi fondamentali ed il profilo delle azioni sismiche da combinare nell’analisi dinamica modale; sommandone le sollecitazioni con quelle da carico gravitazionale si effettuano le verifiche delle sezioni considerando la resistenza unilaterale del materiale, sia pure con le incongruità logiche già commentate in precedenza.

E’ però proponibile anche un approccio meccanicamente e geometricamente non lineare mediante l’analisi statica non lineare. Con la modellazione ad aste è possibile definire le potenziali cerniere plastiche di estremità tenendo conto dello sforzo assiale presente. La condizione da carico verticale, sia per le eccentricità di forma che per le spinte di archi e volte, determina anche in sistemi di piedritti simmetrici diversi livelli di plasticizzazione nei confronti di azioni sismiche orizzontali. In definitiva è possibile determinare la sollecitazione correlata ad una assegnata PGA ed un assegnato spettro ovvero la massima PGA sostenibile o capacità sismica della struttura. Spesso la condizione limite è individuata non dallo stato tensionale ma dall’entità degli spostamenti assoluti o relativi tra i piedritti. Si pensi ad esempio ad uno spostamento relativo che determini la perdita di appoggio di capriate lignee o la rottura in chiave di volti a botte.

  

Fig. 4. Spostamento relativo dei piedritti e conseguente cimento della chiave di volta dell’arco.

Si sottolinea comunque che l’analisi lineare agli autovalori deve necessariamente precedere quella non lineare per determinare il periodo fondamentale e quindi il profilo delle azioni orizzontali da applicare con successivi incrementi monotoni al sistema, tenendo eventualmente conto del c.d. effetto P-Delta e cioè dell’eccentricità dei carichi verticali a seguito degli spostamenti orizzontali del sistema. La semplicità dei sistemi in esame e la loro modellazione semplificata ad aste consente anche l’impiego dell’analisi dinamica non lineare generalmente poco applicata nell’attività professionale.

Nel caso di sistemi ancora più semplici come pareti o porzioni di pareti cimentate fuori dal proprio piano l’analisi proposta trova immediata applicazione.

Modellazione a blocchi ed analisi limite.

La modellazione a blocchi apre la strada alle applicazione dell’analisi limite. Si tratta di una modellazione che supera la semplificazione di considerare gli elementi privi di spessore (modellazione a filo di ferro); il ribaltamento di un blocco rispetto a quello inferiore avviene intorno ad uno spigolo (in assenza di plasticizzazione) e produce quindi anche un sollevamento delle masse ponderali superiori completamente ignorato nelle analisi elastiche esaminate in precedenza.

L’applicazione del principio dei Lavori Virtuali al sistema di blocchi consente di determinare il moltiplicatore dei carichi verticali che produce un meccanismo di ribaltamento o scorrimento (tra quelli possibili).

La Circolare esplicativa delle NTC08 richiama l’espressione C8A.4.1. che fornisce il moltiplicatore dei carichi orizzontali come percentuale di quelli verticali.

E’ evidente che il suddetto moltiplicatore può intendersi come l’accelerazione spettrale “sentita” dal sistema, eguale per tutte le masse ponderali nonostante la loro articolazione in verticale. Il limite di questa analisi è quindi quello di considerare un’accelerazione costante in verticale e la difficoltà a tradurla in un’accelerazione del suolo attraverso uno spettro. A rigor di logica essendo il sistema rigido labile (T=0) l’accelerazione spettrale coincide con la PGA ma è evidente che questa conclusione logica non possa essere sempre accolta in quanto non conservativa.

La normativa quindi cerca di superare queste difficoltà proponendo una procedura applicativa che però fa perdere all’analisi il rigore logico e, direi, l’eleganza del metodo. Ci riferiamo alle regole applicative della c.d. analisi cinematica (nella versione lineare e non lineare).

Fig. 5. Analisi cinematica di alcune sezioni di un edificio di culto.

Si considera innanzitutto la forma del meccanismo come una forma modale il che consente di determinare una massa partecipante (C8A.4.3) che rapportata al tagliante può restituirci l’accelerazione spettrale dell’oscillatore semplice equivalente, infilandoci con l’occasione prudenzialmente anche il c.d. Fattore di confidenza FC (C8A.4.4).

Le espressioni (C8A.4.9 e 4.10), con riferimento allo stato limite di salvaguardia della vita restituiscono infine la PGA tenendo conto della deformabilità del sistema che eventualmente si interponga tra quello in esame ed il suolo (C8A.4.10) e del fatto che anche dopo il raggiungimento del meccanismo il sistema conserva una ulteriore capacità di escursione in termini di spostamenti, definibile come una “duttilità cinematica”. Per questo aspetto specifico si introduce nelle suddette formulazioni un “nebuloso” coefficiente di struttura q.

La versione non lineare dell’analisi cinematica cerca di tener conto come nell’escursione degli spostamenti orizzontali si determinino pericolose non linearità geometriche. Per effettuare il confronto tra lo spostamento ultimo disponibile e quello richiesto dal sisma occorre tracciare una curva di capacità (riferita all’oscillatore semplice equivalente). La modellazione rigido-labile del sistema restituirebbe a rigore una curva costituita da un ramo rigido (verticale) ed un ramo labile decrescente linearmente fino all’annullarsi della capacità. Si valuta quindi come spostamento ultimo il 40% di quello corrispondente ad ordinata nulla. Si corregge inoltre il ramo rigido con una retta inclinata e raccordata al 40% dello spostamento massimo prima precisato (quindi il 16% di quello ad ordinata nulla). Abbiamo quindi assegnato al sistema rigido una deformabilità convenzionale che ci consente di definire il periodo T* dell’oscillatore equivalente e di conseguenza, attraverso un assegnato spettro, la richiesta di spostamento. Le verifiche vengono sintetizzate nelle espressioni C8A.4.11 e 4.12.

E’ tipico della cultura dell’Ingegnere rinunciare al rigore della modellazione per cercare di tener conto, sia pure in maniera approssimata, della complessità del fenomeno. In questo caso però i compromessi da accettare sono tanti e la convenzionalità di taluni parametri determinano nell’utente una giustificata diffidenza.

Rimane il pregio di tener conto del sollevamento dei blocchi per la posizione eccentrica dei centri di rotazione (spigoli dei blocchi) rispetto agli assi. Tuttavia in alcuni casi questo sollevamento potrebbe essere impedito o fortemente contrastato sicché la modellazione a “filo di ferro” potrebbe risultare più attendibile, come vedremo esaminando più avanti un caso ricorrente negli edifici.

5. Edifici Normali.

Si farà riferimento ad una nota classificazione tipologica qui brevemente richiamata:

- 1° classe, integralmente in muratura con impalcati voltati;

- 2° classe , con pareti verticali in muratura ed impalcati piani costituiti da solai con travi in legno o ferro, che non interrompono la continuità delle murature verticali

- 3° classe, con pareti verticali in muratura e solai laterocementizi (o ad essi assimilabili) che interrompono la continuità delle pareti interponendovi cordoli armati; i vani sono sovrastati da piattabande in c.a..

L’edificio si può considerare come un insieme (o sistema) di pareti verticali collegate dagli impalcati con efficacia meccanica diversa nelle tre classi.

Solo nella terza l’impalcato può considerarsi (a meno di difetti e/o carenze nella realizzazione) come un affidabile diaframma rigido come nei moderni edifici intelaiati in c.a. Nelle altre due si possono prendere in considerazione nel piano orizzontale modelli ad arco ovvero a puntoni che possono conferire all’impalcato una capacità distributiva delle azioni orizzontali complessive tra le varie pareti ma questo solo in presenza di catene lungo le fasce murarie delle pareti o, in mancanza di esse, nei limiti della loro debole resistenza a trazione.

Fig. 6. Modelli di impalcati non assimilabili a diaframmi tensoresistenti

Modellazioni ed analisi proponibili.

Per gli edifici della terza classe.

Condizione di carico non sismica.

Si possono considerare schemi a telaio costituiti da fasce di pareti verticali (ritti) sui quali scaricano i solai e le fasce di solaio (traversi). Il telaio può considerarsi a piani fissi perché gli spostamenti orizzontali sono contrastati dalle pareti trasversali rigide nel proprio piano. Generalmente è sufficiente un’analisi elastica lineare anche se in letteratura sono state proposte analisi che tengano conto (con procedimento iterativo) della parzializzazione dei ritti murari per la loro non resistenza a trazione.

 Fig. 7. Il telaio piano può essere semplificativamente considerato una trave continua o disarticolata agli appoggi di piano

Si tratta di studi risalenti all’epoca pre-personal computer che forniscono, attesa la laboriosità del calcolo all’epoca manuale, anche tabelle per determinare la diminuita rigidezza flessionale dei ritti.

Condizione di carico sismica.

Prevale il modello globale dell’intero edificio inteso come un telaio spaziale costituito da pareti piane collegate da impalcato rigido e resistente. La criticità nella modellazione si concentra sulle pareti. Queste vengono prevalentemente concepite come telai equivalenti costituiti dai maschi (ritti) e da fasce di piano (traversi) entrambi con tratti rigidi di estremità (nella zona di sovrapposizione delle fasce con i maschi) e considerando sempre anche la deformabilità a taglio.

 

Fig. 8. Modellazione a telaio equivalente di pareti con aperture regolari e non.

Notevoli incertezze affliggono la modellazione delle fasce che solo in presenza di cordoli e piattabande in c.a. assumono affidabile rigidezza flessionale (per la mancanza di significativo sforzo assiale) che si consiglia comunque di valutare orientativamente al 50% di quella corrispondente all’assetto geometrico. E’ evidente che lo schema spaziale complessivo prevede nelle cantonali e nelle croci di muro un doppio ritto appartenenti ciascuno ad una parete in una direzione (figura)

Fig. 9. Modellazione spaziale di un edificio con pareti/telaio

In alternativa la parete può essere modellata agli elementi finiti con elementi lastra di mesh adeguatamente accurata e con elementi monodimensionali per i cordoli. Esistono in letteratura comparazioni tra i due modelli che conducono a risultati prossimi tra loro al punto da far preferire il meno laborioso modello di telaio equivalente.

Con questi modelli è possibile effettuare un’analisi elastica lineare (e quindi anche dinamica modale) verificando, con l’incongruenza già evidenziata, sia i maschi che le fasce con formulazioni attinenti le sezioni non resistenti a trazione.

Consideriamo ora i possibili sviluppi non lineari, distinguendo gli effetti della parzializzazione delle sezioni (per la non resistenza a trazione) e della plasticizzazione (per la non illimitata resistenza a compressione).

Per quanto attiene i primi troviamo in letteratura procedure approssimate o iterative applicabili alla modellazione a telaio. Per le modellazioni agli elementi finiti non mancano programmi di calcolo, impiegati per lo più nel campo della ricerca scientifica, che richiedono particolare padronanza nell’uso e nella corretta interpretazione dei risultati.

Per quanto attiene le non linearità per plasticizzazione il modello a telaio equivalente consente sviluppi non lineari facilmente accessibili utilizzando un approccio a plasticità concentrata (cerniere plastiche a momento e taglio) mentre per le modellazioni agli elementi finiti valgono le considerazioni fatte precedentemente.

Aggiungiamo qualche considerazione ulteriore sull’utilizzo delle cerniere plastiche in questo sofferto modello di telaio equivalente per sottolinearne alcune specificità.

Un aspetto positivo deriva dal poter modellare le cerniere pressoflessionali nei ritti considerando praticamente costante lo sforzo assiale (l’accoppiamento delle fasce è in genere modesto).

Un’altra specificità è correlata alle cerniere “a taglio”. Nei telai in c.a. la rottura fragile a taglio nei ritti viene considerata una condizione ultima mentre per i ns telai in muratura è possibile proseguire l’analisi confidando in una ridistribuzione del taglio tra i rimanenti ritti. Occorre quindi modellare le cerniere a taglio in maniera che sia consentito, dopo la rottura, un escursione dello scorrimento con sollecitazione praticamente nulla. La ridistribuzione restituisce una curva di pushover che presenta un ramo discendente (softening) dopo il massimo (è ammissibile una riduzione del 20%). Si sottolinea che in questo caso il tratto discendente della curva non costituisce un ramo instabile (che sarebbe molto difficile seguire numericamente) ma un tratto ancora stabile ma discendente “a gradini” per la rottura di qualche ritto quindi per successive modifiche dell’assetto resistente del sistema.

La modellazione a blocchi e la conseguente analisi limite (c.d. cinematica lineare e non lineare) trova minore interesse applicativo in questa tipologia. Per applicarla alla singola parete piana (non appare praticabile infatti l’esame di un sistema tridimensionale) si richiede l’analisi di tutti i possibili meccanismi e si confermano tutte le criticità già evidenziate trattando gli edifici speciali.

Fig. 10. Modellazione di una parete a blocchi e possibili meccanismi (da uno studio di M. Como del 1983)

Fenomeni locali

Nella tipologia della terza classe forse l’unico modello locale è quello della parete di un generico ordine di piano, vincolata superiormente ed inferiormente agli impalcati e sollecitata fuori dal proprio piano. In questo caso sia la modellazione a blocchi con conseguenziale analisi limite che quella a trave con analisi elastica sono proponibili.

Fig. 11. Analisi limite vs analisi elastica del modello locale di parete tra due impalcati.

Nonostante la semplicità dello schema non mancano motivi di attenzione se si pretende (con ragione) di ottenere risultati numericamente simili con le due analisi.

Innanzitutto per confrontare il modello a blocchi con quello a filo di ferro della trave occorre considerare uno schema di trave ad asse spezzato. Inoltre il sollevamento del blocco superiore dovrebbe comportare la migrazione dello sforzo N verso lo spigolo esterno. Infine il sollevamento potrebbe essere impedito o fortemente contrastato dalla parte superiore dell’edificio (si pensi agli ordini di piano inferiori).

Per gli edifici della 1° e 2° classe.

Condizione non sismica.

Il singolo elemento locale costituito dal setto murario (che può assumere forma ad L , T o similare) viene considerato nella sua estensione verticale, con rastremazioni anche eccentriche, dalla fondazione alla copertura; esso è soggetto al peso proprio ed allo scarico di solai o volte (in questo caso con azione spingente) sempre tenendo conto delle eccentricità di forma. Un calcolo elementare elastico conduce alla verifica delle sezioni sempre con le formule per materiale non resistente a trazione.

Fig. 12. Verifica in condizione non sismica dei piedritti verticali.

 

Condizione sismica.

Le incertezze nella modellazione sono notevoli.

Si può prendere in considerazione un modello globale (almeno per sismi di lievi entità) con le seguenti differenze rispetto al modello globale assunto nella prima classe:

- Nelle pareti telaio le fasce di piano vanno considerate come elementi pendolo;

- Gli impalcati vanno modellati con una serie di puntoni; nel caso di volte, schematizzabili come due archi diagonali, si assume un puntone curvo, stabilizzato dall’altra diagonale. Tale assetto richiede che le fasce delle pareti funzionino come catene tensoresistenti. (rivedi Fig. 6).

E’ comunque doveroso considerare anche un modello locale a pareti singole prescindendo quindi da qualsiasi funzione ripartitrice dell’impalcato. La parete viene sollecitata sia nel piano che fuori da esso ed è questo secondo caso il più temibile.

Fig. 13. Il primo modo di vibrare del modello globale dell’edificio evidenzia il comportamento locale indipendente della singola parete fuori dal proprio piano.

 

Per tali modellazioni l’analisi elastica lineare costituisce strumento più praticabile rispetto alla analisi limite, anche per il possibile semplice sviluppo non lineare.

6. Conclusioni (?)

Il termine conclusioni è del tutto inappropriato ed al più può essere provocatorio. Si è infatti cercato di illustrare una rassegna, sicuramente non completa, della complessa problematica che affligge l’analisi delle costruzioni murarie anche se in questa rassegna non si è riusciti a non esprimere una personale propensione verso alcune delle possibilità disponibili.

Quello che si può pacificamente concludere è che l’argomento è ancora molto aperto e richiede da parte del progettista strutturale grande prudenza e senso critico nelle modellazioni e nelle analisi che condurrà ed in particolare una profonda consapevolezza delle ipotesi di base sulle quali si basa il software che si sta per usare. Sembra anche inevitabile il ricorrere a diverse modellazioni ed analisi per ottenere dal confronto una certa rassicurazione della validità dei risultati numerici.

Chi opera sul campo sicuramente soffre questa situazione ma uno scambio di osservazioni ed esperienze potrà sicuramente dare un contributo al miglioramento della situazione.