ACCIAIO, CEMENTO ARMATO, SISMICA ED ALTRO

 a cura di Aurelio Ghersi
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DISCUSSIONI ON-LINE  -  CEMENTO ARMATO

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Con Aurelio Ghersi abbiamo deciso di ampliare la discussione on line su argomenti di ingegneria strutturale dedicando una sezione, dopo quella sugli edifici in muratura, agli edifici in c.a. con particolare attenzione a quelli esistenti. Si ritiene infatti che l’argomento sia di notevole interesse per l’attuale attività professionale e che non manchi sicuramente di problematiche aperte. Ghersi ha dedicato al tema degli edifici esistenti alcuni corsi di aggiornamento e già molto materiale è disponibile per la consultazione su questo sito. Abbiamo condiviso alcuni recenti studi sull’evoluzione dell’analisi statica non lineare che costituisce il principale strumento di analisi ed abbiamo maturato il proposito anche di scrivere un libro sull’argomento che completi quello sugli Edifici antisismici in cemento armato che è dedicato alle nuove costruzioni. L’apertura di una discussione on line non potrà che arricchire la nostra esperienza in merito.

Le informazioni disponibili sono aggiornate a Saturday 05 May 2018

da indicare

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Mi è capitato in questi giorni di approfondire il problema della verifica dei nodi, in particolare nel caso di analisi push-over, ove è evidente che, nel caso di nodi non confinati, è sempre necessaria la verifica trattandosi di un meccanismo fragile.

Il primo dubbio riguarda il fatto che la norma definisce con “As1” e “As2” le armature, rispettivamente, superiori ed inferiori della trave. In particolare, con riferimento alla figura 6 (Cap. 7 – par. 8), immaginiamo che manchi la trave di sinistra, quindi la compressione nella parte superiore della trave destra è pari a As2*fyd e, come da normativa, la forza di taglio nel nucleo vale Vjbd = gRd*As2*fyd-Vc. Se invece, nella stessa figura, immaginiamo che manchi la trave di destra, abbiamo la zona compressa nella parte inferiore della trave (sinistra) e lo sforzo di compressione dovrebbe essere As1*fyd. Analogo ragionamento vale se invertiamo il verso delle caratteristiche della sollecitazione (differente inclinazione del puntone compresso). Se il problema non si pone nei nodi ove concorrono quattro elementi trave, nei casi a tre elementi è corretto utilizzare sempre e comunque l’armatura inferiore (generalmente di sezione inferiore all’armatura superiore), come previsto da normativa, o va considerata, a seconda dei casi, l’armatura effettivamente tesa.

Il secondo dubbio, sempre per difetto di elementi concorrenti nel nodo, riguarda l’ultimo impalcato, ove, mancando il pilastro superiore, mancano le forze “Nc” e “Vc”; inoltre è possibile avere esclusivamente nodi a tre o due elementi. È certo che applicando in maniera acritica il modello di verifica proposto dalle norme si hanno quantitativi di armatura improponibili. Ammesso che in questa situazione sia comunque necessaria la verifica del nodo, ragionando sugli schemi di equilibrio, mi chiedevo se era corretto riferirsi al pilastro inferiore per il taglio “V’c”; eventualmente anche “N’c” che effettivamente attiverebbe l’effetto di confinamento delle staffe sul nucleo, in alternativa, non considerando “N’c”, per garantire il nodo nei confronti della fessurazione diagonale, bisognerebbe fare affidamento esclusivamente alle staffe tramite le formule 7.4.11-12 delle norme.

Pierpaolo Polsinelli (FR)


Il quesito posto è di grande interesse per cui,  anche se  è pervenuto tramite l’Editore Flaccovio agli autori del testo “Edifici Antisismici in c.a.”, si ritiene opportuno proporlo in questo sito di discussione on line contando sul contributo anche di altri colleghi.

Al momento la risposta deve considerarsi parziale e soprattutto provvisoria.

Le NTC08 hanno indubbiamente il merito di segnalare l’attenzione sulla verifica dei nodi, trascurata nei precedenti codici. Le modalità di verifica dei nodi si riferiscono alle nuove costruzioni, sono quindi prescrizioni di progetto obbligatorie peraltro solo per le costruzioni in CDA. Indicazioni più blande vengono date per tutti gli altri casi nei quali il nodo non sia interamente confinato (in pratica quasi tutti). Considerata la severità della prescrizione non convince innanzitutto la diversità di trattamento tra costruzioni in CDA e CDB e non si capisce la totale esenzione per i nodi interamente confinati.

Riferendosi comunque  a nuove costruzioni in progetto le formulazioni considerano, allo stato limite ultimo, snervate le armature delle travi, il che è conseguenza dell’applicazione in progetto della gerarchia delle resistenze e tendono, mediante il coefficiente amplificativo γrd , ad assicurare la sovraresistenza del nodo rispetto a quella delle travi.  A seconda del verso del sisma risultano tese (e quindi snervate) alternativamente le armature inferiori o superiori (diverse tra loro) delle travi confluenti nel nodo.  Di ciò è necessario tener conto come peraltro si è esemplificato nel par. 5 del Cap. 12 del citato Libro.

Nei nodi dell’ultimo piano, ove non si applica la gerarchia delle resistenze, occorrerebbe tener conto dell’effettivo sforzo nelle armature allo stato limite ultimo (anche se la normativa non lo chiarisce).

Se si vuole utilizzare il medesimo modello e le conseguenti formulazioni per la verifica di nodi degli edifici esistenti (progettati quindi con criteri diversi)  occorre considerare la tensione effettiva delle armature che, in caso di mancata sovraresistenza dei pilastri, potrebbe essere anche fortemente inferiore a quella di snervamento.

 Nel caso di analisi incrementale (statica non lineare), alla quale fa riferimento chi ha posto il quesito, è possibile conoscere in ogni passo la sollecitazione delle membrature ed effettuare quindi la verifica nei confronti di questo particolare meccanismo fragile.

Sembra in definitiva che nelle verifiche dei nodi si sia passato da una fase, in passato, nella quale si trascurava  completamente il problema a quella attuale (NTC08) che richiede verifiche ed armature molto severe. In merito si  auspica una rimeditazione del dimensionamento delle armature nodali ed una minore differenziazione tra la progettazione in Alta o Bassa duttilità. Su questi possibili modifiche ci si riserva quindi un successivo intervento.

Al momento si deve concludere che le prescrizioni così problematiche valgono solo per le costruzioni in progetto ed in Alta duttilità. Per gli edifici esistenti questa verifica non viene espressamente richiesta ma ha ragione il collega a preoccuparsi del problema ed in mancanza di precise indicazioni normative di cercare di utilizzare il modello di verifica per le nuove costruzioni. Occorre però tenere conto, come detto in precedenza, dell’effettivo quadro tensionale atteso nel nodo.

 P.Lenza   20 maggio 2015


Egr. dott. Lenza 

Scrivo per sottoporle un quesito relativo ad un intervento da eseguire su un edificio esistente in cemento armato. In realtà l’intervento è molto semplice e banale, ma trovo molte difficoltà per l’approvazione del progetto presso gli uffici del genio civile. Credo inoltre che la problematica sia di interesse generale e per tale motivo sono qui a scrivere.

L’intervento consiste nella realizzazione di una piccola tettoia in legno che copre una porzione di un terrazzo posto al piano primo di un edificio esistente in c.a.

L’edificio oggetto di intervento, costruito verso la metà degli anni 80, ha forma rettangolare con dimensioni planimetriche di circa 30m x 11,5 m, e consta di due piani fuori terra ed un piano interrato per un totale di tre impalcati. Per maggior chiarezza di esposizione allego le carpenterie degli impalcati dell’edificio esistente.

L’intervento prevede la realizzazione di una tettoia in legno che vada a coprire di una piccola porzione del terrazzo al piano primo dell’edificio al fine di realizzare un piccolo ampliamento. Le allego uno stralcio del progetto architettonico e dei disegni esecutivi.

Questo intervento, a mio avviso, può essere inquadrato (nei confronti dell’edificio esistente) come intervento locale, in quanto “..non cambia significativamente il comportamento globale della struttura, soprattutto ai fini della resistenza alle azioni sismiche….” (§C.8.4.3 circolare 617/09). Una disanima più dettagliata delle motivazioni le trova nello stralcio di relazione di calcolo che le allego. 

I funzionari tecnici del genio civile mi impongono di eseguire un intervento di adeguamento o miglioramento sismico in quanto sostengono che si tratti di una sopraelevazione del fabbricato.

A mio avviso l’intervento non è inquadrabile come miglioramento sismico né tanto meno come adeguamento in quanto il comportamento globale della struttura rimane di fatto inalterato ne tanto meno si tratta di sopraelevazione in quanto anche il numero dei piani risulta invariato.

Questo intervento può essere paragonato al caso in cui si voglia inserire un ascensore in un edificio esistente prevedendo il vano corsa in struttura metallica completamente ancorata all’edificio. Anche in questo caso si avranno variazioni di masse e rigidezze a tutti i piani, ma saranno del tutto trascurabili se paragonate a quelle dell’edificio.

Spesso nella norma si trovano parole tipo “significativemente”, o “trascurabili” per indicare variazioni o incrementi di varie quantità ( es. masse e rigidezze). Queste parole lasciano forti dubbi perché ciò che per qualcuno può risultare insignificante per altri può essere molto significativo, sta quindi al buon senso delle persone individuare tale limite. Resta il fatto però che per alcuni, una variazione di rigidezza nulla, ed una variazione di massa totale inferiore all’1% sono tali da giustificare un intervento di adeguamento su una struttura esistente.

Quindi qual è il limite della variazione percentuale di una grandezza, che può essere considerata “ingegneristicamente” non significativa?

Ci sono casi in cui la norma pone dei limiti percentuali relativamente alti, ad es. cito il §7.2.3 dove si dice che posso ignorare nell’analisi della risposta sismica gli elementi cosi detti secondari a patto che la loro rigidezza totale non superi il 15% della analoga rigidezza degli elementi primari.

Questa percentuale si ritrova anche nel testo della regione Toscana “Orientamenti interpretativi in merito a interventi locali o di riparazione di edifici esistenti”, nel quale si fissa una variazione del ±15% come limite per considerare come locale, un intervento di apertura di un vano su una muratura portante (in questo caso tale limite viene tranquillamente accettato dai funzionari tecnici).

Adattando quanto appena detto al “funzionario-pensiero” si dovrebbe ammettere di fatto che:

-          non esistono elementi secondari perché comunque danno un contributo, seppur minimo, alla rigidezza globale;

-          nessun intervento di apertura o modifica di vani nelle murature portanti può essere considerato come locale in quanto comporta sempre una variazione di rigidezza.

Con questa ultima osservazione chiudo per non dilungarmi troppo e per non farle perdere altro tempo. La ringrazio anticipatamente per la sua eventuale risposta. 

Cordiali saluti

Giuliano Vecchi  


Il problema posto non è di natura tecnico-scientifica ma di natura amministrativa .Riguarda infatti l’interpretazione della normativa tecnica ed in particolare il “confine” tra l’intervento di miglioramento sismico e quello c.d. locale o di riparazione.  Mi auguro che altri colleghi possano portare un contributo sulla questione  e proprio a seguito di una segnalazione privata da parte di un collega che trovo utile indicare il seguente documento esplicativo, incentrato però sul confine (anch’esso incerto) tra l’intervento di miglioramento e quello di adeguamento:

http://bur.regione.emilia-romagna.it/bur/area-bollettini/bollettini-pubblicati/2012/n.22-del-02.02.2012-parte-seconda/approvazione-dellatto-di-indirizzo-in-merito-alla-definizione-degli-interventi-di-sopraelevazione-ampliamento-e-delle-strutture-compenetranti-ai-fini-dellapplicazione-del-paragrafo-8.4.1-delle-ntc-2008-e-della-l.r.-n.-19-del-2008/allegati-alla-deliberazione-n.-1879-2011

Nel caso specifico e solo per opinione personale osservo che nella sua relazione clicka qui Vecchi dimostra analiticamente la irrilevanza nella modifica della massa  e la assoluta mancanza di variazione della rigidezza laterale dell’edificio,  il che dovrebbe essere sufficiente a dimostrare il carattere locale dell’intervento.

Vengono inoltre evidenziati i miglioramenti strutturali locali a seguito della realizzanda veranda di copertura del terrazzo.

Sembra invece che ogni minimo intervento su di un edificio esistente possa divenire l’occasione  per richiedere una valutazione del livello di sicurezza sismica dell’intero edificio.  Non vi è dubbio che tale indagine sarebbe di grande utilità ed interesse ma non sembra che il Legislatore lo richieda, forse anche consapevole del notevole “costo” tecnico che avrebbe tale valutazione.

P.Lenza 3 giugno 2015


Gentilissimo Professor Lenza,

di recente mi è capitato di dover progettare un edificio residenziale multipiano avente una struttura in c.a. composta da:

Al fine di approfondire l'argomento e ottimizzare la mia progettazione, ho utilizzato le dispense realizzate dal Prof. Ghersi in occasione di un corso di aggiornamento da lui tenutosi a Parma nel 2013. Tali dispense si sono rilevate fondamentali.

Volendo approfondire ulteriormente l'argomento, soprattutto per quegli aspetti caratteristici della tipologia costruttiva, come ad esempio la modellazione delle pareti e del telaio ed il dimensionamento delle fondazioni, le chiedo se esistono in commercio dei testi tecnico/scentifici dedicati (anche in lingua inglese), dato che purtroppo non sono riuscito a reperirli.

In attesa di un suo gentile riscontro, la ringrazio fin d'ora per la disponibilità.

Cordiali saluti,

Simone Bottoli  


Rispondo con ritardo alla segnalazione del collega Bottoli, sia per il periodo estivo, sia per la difficoltà a fornire una risposta utile. In effetti, nonostante abbia chiesto ad amici e colleghi ed allo stesso Ghersi indicazioni bibliografiche in merito non ho trovato alcuna indicazione bibliografica da consigliare.

Questo in verità non mi meraviglia perché il “sistema” accademico scoraggia gli sforzi di quanti potrebbero scrivere libri divulgativi che affrontino problemi tecnico pratici senza rinunciare ad una impostazione scientifica di base.  Il libro di Pagano degli anni 50 “Edifici in c.a.” che rispondeva a questa impostazione fu quasi uno scandalo. Si riteneva che contenuti del genere fossero estranei o al più marginali alla Tecnica delle Costruzioni e che non meritassero di essere insegnati nelle Università. Per fortuna le cose sono andate diversamente ma rimangono pregiudizi che sconsigliano a docenti e ricercatori di scrivere libri divulgativi di buon livello. Spero comunque che qualche lettore del ns forum di discussione possa fornire qualche indicazione utile. 

P.lenza , 8 settembre 2015


Si ritorna, con una breve nota, sull'argomento del taglio nei nodi, argomento già introdotto, tempo fa, dal collega Polsinelli.

Nota sulla verifica dei nodi nei telai in zona sismica.

In un telaio soggetto a forze orizzontali (fig. 1a) il taglio Vbj nel singolo nodo (fig.1b) viene determinato dall’equilibrio del nodo. Spesso il valore elevato del taglio nodale così determinato determina armature che appaiono in qualche caso eccessive.

Per giustificare un minore impegno tagliante nei nodi più esposti si può pensare ad una ridistribuzione dei tagli tra i nodi del traverso che sollevi quelli più esposti e carichi quelli meno esposti.

Considerando l’equilibrio dell’intero traverso possiamo determinare la somma dei vari tagli nodali V’bj (fig 1c)

Perché sia assicurato l’equilibrio dei singoli nodi con i nuovi valori V’bj  occorre considerare nei singoli nodi  forze correttive ΔVj che le travi esercitano sui nodi (fig. 1d) e che hanno risultante complessivamente nulla a livello di traverso.  I traversi sono quindi soggetti a sforzo assiale che induce presso/tenso flessione nelle travi (fig. 1e). Lo sforzo assiale può comunque essere considerato assorbito anche dalla fascia di impalcato adiacente alla trave.

La ridistribuzione infine può essere estesa a tutti i nodi del piano dell’edificio, schematizzabile complessivamente  come un treno di telai.

 

P.L. 22 ottobre 2015


Buon giorno Ing Lenza, avrei una domanda che potrà sembrarLe scontata , ma vorrei cortesemente conoscere quale formula utilizza il programma del Prog Gelfi verifica SLU per la determinazione dell'asse neutro; per una sez rettangolare a semplice armatura  ho usato la formula

y= As fyd / (0,8 fcd b)

     ma che da risultati  abbastanza diversi da quelli che scaturiscono dall'uso del software 
la ringrazio in anticipo scusandomi del disturbo .

Ing. Luciano Caserta


Il Prof. Gelfi (da non confondersi con Ghersi con il quale ho maggiori contatti) ha generosamente messo a disposizione gratuitamente una serie di programmi da lui elaborati sicuramente di alta affidabilità ma egli stesso invita gli utenti a segnalare possibili problemi. Non esiterei quindi a segnalare l'eventuale problema all'autore del software documentandolo meglio di quanto fatto nella presente segnalazione. La formula usata dall'ing. Caserta è sicuramente corretta (a parte 0,81 invece di 0.8 se si fa riferimento al più comune  legame costitutivo del calcs del tipo "parabola -rettangolo"). Questo non è l'unico legame indicato dalla normativa (sono consentiti  la parabola-rettangolo, il triangolo-rettangolo ed il c.d. stress block) che danno risultati  leggermente diversi per la posizione dell'asse neutro.
 


Mi è capitato in questi giorni di confrontarmi con diversi colleghi sulla questione della regolarità in altezza degli edifici in c.a. e vorrei aprire un dibattito e magari confrontarmi con qualcuno più preparato di me.

 Sulla questione della regolarità in altezza ho il forte dubbio che quanto riportato nelle NTC 2008 sia il frutto di un errore oppure di una svista. Infatti così come è scritta la norma credo sia impossibile la regolarità in altezza di un edificio in c.a. Di conseguenza il fattore di struttura q dovrà essere ridotto del 20% ed inoltre non sarà possibile utilizzare l’analisi statica.

 In modo particolare mi riferisco alla condizione della lettera g) del § 7.2.2 NTC. che non è prescritta per le strutture in CD ”A” in quanto implicitamente soddisfatta dal rispetto della (7.4.5) del § 7.4.4.2. Ma anche le strutture in CD ”B” devono rispettare la (7.4.5) delle NTC per cui anche per queste ultime non dovrebbe applicarsi la condizione di cui alla lettera g).

 Questa mia osservazione è scaturita dopo aver notato che le condizioni di regolarità sono praticamente identiche a quelle dell’Ordinanza 3274, ma nell’ordinanza le strutture CD”B” non erano tenute al rispetto della (7.4.5).

 Da ciò credo che questa incoerenza sia il frutto di un “copia e incolla” dalla vecchia norma alla nuova norma. Inoltre l'EC8 non parla di percentuali, che invece sono riportate alle lettere f) e g), ma si limita ad usare gli aggettivi “gradually” e “disproportionately”.

 Antonio Talia (CZ)


Sono convinto che sia molto difficile (forse impossibile) avere un sistema intelaiato in c.a. che possa definirsi “regolare in altezza” secondo i criteri delle NTC08.

Prima però di arrivare al punto g) della norma, come segnalato da Talia, credo che ci si fermi al punto f) che richiede una limitata variazione delle rigidezze di piano (oltre che delle masse…ma questo si verifica quasi sempre).

C’è da chiarire preliminarmente cosa intendiamo per rigidezza di piano.  Ad esempio possiamo assumere come rigidezza il rapporto tra il tagliante del generico piano r (Vr) ed il drift del medesimo piano (dr). Questa rigidezza non è una caratteristica intrinseca della struttura perché dipende anche dalla distribuzione delle azioni orizzontali al di sopra del piano r. Infatti a parità di Vr (ottenuto da distribuzioni diverse) possiamo ottenere diversi dr. Sembra però ragionevole riferirsi ad una distribuzione sismica delle forze di piano (ad esempio quella relativa alle forze semplificativamente determinate con l’analisi statica). Con questa misura della rigidezza difficilmente si rispetta quanto richiesto al punto f) anche se i pilastri avessero sezione costante! Questo a causa della forma “flessuosa” della deformata laterale del telaio.

Esistono anche espressioni approssimate della rigidezza di piano che, senza richiedere il calcolo del telaio per una distribuzione di forze orizzontali, tengono conto delle inerzie delle travi oltre che dei pilastri (cfr. Edifici antisimici in ca –Ghersi Lenza – capitolo 6  n.(14) a pag.146).  Non credo però che si rientri facilmente in quanto richiesto in f).

Diverso sarebbe il risultato se si assumesse la rigidezza semplicemente proporzionale alle sole inerzie dei pilastri del piano. In questo caso però il Legislatore avrebbe dovuto parlare di inerzie e non di rigidezze.

Se si arriva a quanto prescritto al successivo punto g) (….dubito però che ci si arrivi) emergono le incongruenze segnalate da Talia. Poiché per resistenza di piano si intende convenzionalmente il taglio restituito dai pilastri plasticizzati in testa ed al piede, vengono escluse da questo controllo le strutture progettate in CDA in quanto la gerarchia delle resistenze assicura che prima della plasticizzazione dei pilastri si plasticizzino le travi.  Quella resistenza convenzionale di piano non può quindi esplicarsi.

Argomenta giustamente Talia che anche per le strutture in CDB occorre rispettare la gerarchia delle resistenze. Se dovessi assumere il ruolo di “difensore d’ufficio” potrei dire, rimettendomi però alla clemenza della Corte, che in CDB c’è minore rigore nell’applicare la gerarchia delle resistenze. Mi rifiuto però di assumere questo ruolo ritenendo l’articolato della norma indifendibile in numerosi punti.

PL 3 agosto 2016


Ho letto la risposta sul sito in merito alla mia email sulla questione della regolarità.

 Concordo pienamente con lei sulla quasi impossibilità di poter realizzare, seguendo le NTC, un edificio regolare in altezza in CDB.

 Ma allora mi sorge una domanda: "Le NTC sono state scritte da incompetenti? Se non dovessero esistere strutture regolari in altezza per come indicato nelle NTC significherebbe che il comprovato metodo dell'analisi statica debba andarsi a riporre nei cassetti della storia." E onestamente questo mi sembra una cosa ridicola...

 Anche volendo "forzare" le NTC e considerare regolare una struttura governata dai modi traslazionali nelle due direzioni, ci si scontra con i funzionari del genio civile che rigettano le pratiche... E quindi noi progettisti siamo diventati dei semplici "burocrati" che si devono preoccupare non tanto di progettare ma soltanto di far rispettare dei numerini...

 Antonio Talia (CZ)


Vorrei cercare di attenuare il pessimismo che traspare dall’intervento di Talia vedendo il bicchiere mezzo pieno.

E’ vero che la normativa tecnica diviene sempre più prescrittiva e dettagliata limitando la libertà dell’ingegnere ma questo comporta anche una diminuzione della sua responsabilità.

E’ anche vero che le NTC08 presentano incongruenze  e punti poco chiari (…forse un po’ troppi) ma non si può negare il grande progresso culturale che è avvenuto già con l’Ordinanza 3274 (che costituì un blitz della Protezione Civile nei confronti del Ministero Competente) e poi con le NTC08. Si afferma infatti il pieno accreditamento del calcolo semiprobabilistico agli stati limite anche in zona sismica, la valorizzazione della duttilità e non solo della resistenza, il capacity design (alias gerarchia delle resistenze) etc..

Veniamo adesso al punto specifico segnalato.

Effettivamente la problematica valutazione secondo le NTC08 della regolarità in altezza (di cui abbiamo già discusso e che coinvolge anche i sistemi in CDA) impedisce di fatto l’utilizzo della analisi statica lineare nella verifica finale della struttura. Ho sottolineato le ultime parole per ricordare che il progetto strutturale che viene presentato all’organo di controllo (Genio Civile) costituisce una verifica finale, un po’ “notarile”,  di una struttura “dimensionata” precedentemente con criteri che non è obbligatorio documentare (cfr Cap 10 del libro “edifici antisismici in ca”). Il lavoro di dimensionamento rimane quindi nei cassetti dello studio professionale ma costituisce il momento più qualificante della progettazione strutturale.  Nella fase di dimensionamento l’analisi statica lineare costituisce e costituirà sempre uno strumento irrinunciabile ed insostituibile perché consente di apprezzare le forze sismiche prescindendo dalle dimensioni delle sezioni delle aste, che dobbiamo appunto dimensionare.

PL 04/08/2016


Buongiorno, vorrei sapere il metodo più appropriato per il dimensionamento dei travetti rompitratta da realizzare su un solaio, nel mio caso predalles. (quanto carico si prendono rispetto al carico distribuito sul solaio, lo schema di calcolo più appropriato ecc..)
Spero che l'argomento sia pertinente e di interesse generale, sarebbe fantastico poter avere anche un esempio numerico.
Grazie a presto

Ing. Michele Clemenzi


Il c.d. travetto di ripartizione ed in genere le nervature trasversali inserite nei tradizionali solai monodirezionali, assolvono a numerose funzioni (effeti termici e ritiro, variazioni di luce improvvisi o graduali, inversione di orditura, irrigidimento ed irrobustimento dell'impalcato come  diaframma sismico etc.) oltre a quella più nota di ripartizione del carico verticale, specialmente in presenza di carichi concentrati (tipico è il caso del tramezzo disposto sopra o comunque parallelo ad un travetto.

E' quindi buona norma prevedere sempre una nervatura trasversale, indipendentemente dalla luce del solaio.

Nel caso dei solai gettati in opera la buona regola d'arte suggerisce di realizzare almeno un travetto  trasversale della stessa sezione di quella dei travetti armandola con 4 ferri filanti (diametro 8-10 mm) e staffe (non dimentichiamoci mai del taglio!). Per dare una dignitosa giustificazione a questa buona regola occorre pensare ad un modello di funzionamento che consenta anche un'analisi numerica.

Nella mia esperienza didattica ho sempre fatto riferimento al modello di trave su suolo elastico ove il "suolo elastico" è costituito dalla deformabilità flessionale dei travetti del solaio. Di seguito riporto alcuni appunti didattici  riferiti al caso del solaio gettato in opera.

Nel caso di solaio con travetti in cap il travetto di ripartizione avrà una minore altezza (in parte compensata da una maggiore larghezza, pari in genere ad una pignatta da 25 cm), dovendo le armature passare al disopra del travetto prefabbricato. Nel caso di solai con predalles ci si regolerà in base alla geometria.

 

PL 26 marzo 2017


Buongiorno Professore,

Le scrivo da Barletta - Puglia. Recentemente ho avuto occasione di confrontarmi con un collega più "anziano" (e saccente) di me, circa la scelta della classe di esposizione del calcestruzzo. Il confronto è nato in occasione della progettazione congiunta (che ha visto coinvolti appunto me e questo mio collega) di un fabbricato per civile abitazione, con struttura a telaio in c.a., composto da sette impalcati e situato ad una distanza dal mare in linea d'aria pari a circa 500 metri (o poco meno), con presenza di altri fabbricati e/o schermature intermedie. Considerate, dunque, le condizioni di esposizione ambientale del manufatto (distanza dalla costa, presenza di schermature, condizioni climatiche-meteorologiche tipiche della zona), per la scelta e, conseguentemente, per la prescrizione inerente la classe di esposizione del calcestruzzo, ho subito ritenuto opportuno prendere in considerazione la sola corrosione indotta da carbonatazione, arrivando a definire per tutte le strutture un calcestruzzo di classe di resistenza C28/35 con classe di esposizione XC2/XC3. A riguardo, però, il collega co-progettista ha manifestato da subito un fermo disappunto, sostenendo la necessità di fare riferimento ad una classe di esposizione XS1 e quindi ad un tipo di corrosione indotta da esposizione a cloruri di origine marina, con la conseguenza tra l'altro di dover adottare anche una classe di resistenza minima C32/40. In particolare, a sostegno della sua tesi, in un confronto con l'impresa, il collega avrebbe fatto riferimento ad una norma recentissima (della quale però non sono ancora riuscito ad avere, dallo stesso collega, precise indicazioni), in base alla quale per i manufatti posti ad una certa distanza dal mare (entro i 500 metri) ci sarebbe l'obbligo di utilizzare un cls con classe di esposizione XS1. Pertanto, la domanda che le rivolgo è la seguente: quali sono a suo avviso gli strumenti normativi (e le regole tecniche o di buon senso) da prendere in considerazione nella scelta e nella prescrizione della classe di esposizione di cls per una data struttura, al fine di garantire una durabilità della struttura stessa in linea con le prestazioni attese e/o richieste dalle NTC? Inoltre, sarei curioso di conoscere questa norma recentissima che detta precise prescrizioni circa la classe di esposizione da adottare in relazione alla distanza dal mare.

Ringraziandola anticipatamente per la sua cortese risposta, cordialmente la saluto.

Ing. Luigi Torre


L'argomento proposto mi coglie particolarmente impreparato ma spero che riportandolo in questo sito di discussione altri colleghi più aggiornati possano dare un miglior supporto al collega La Torre.
La mia opinione è che assicurare la durabilità di un'opera in c.a. sia molto importante e le NTC08 richiedono espressamente che ci si ponga questo obiettivo. A differenza però di altri aspetti disciplinati dalla Norma, non vengono date prescrizioni precise e cogenti (salvo ad esempio il rispetto dei copriferri). Il richiamo alle norme UNI ed alle linee guida del Consiglio Superiore viene indicato come un autorevole riferimento ma senza sancirne l'obbligo di osservarle dettagliatamente. Un altro riferimento importante sarebbe quello dell'EC2. In particolare ricordo che nel libro di A. Ghersi sul Cemento Armato il Capitolo 7 (curato da Edoardo Marino) tratta l'argomento con particolare attenzione proprio alle indicazioni dell'EC2. Non mi risulta infine una specifica norma cogente per le costruzioni a distanza dal mare inferiore ai 500 metri ma...potrei non essere sufficientemente informato in merito.
Da ingegnere vorrei comunque sottolineare che il maggior dosaggio di cemento nel calcestruzzo (rispetto alle strette esigenze di resistenza), il confezionamento dello stesso con un basso rapporto a/c ed un attento rispetto dei copriferri , sono comunque....buoni investimenti per la durevolezza dell'opera.

P.L. 29.04.17


Mi sono trovato davanti, per la prima volta, un problema di rinforzo di un edificio intelaiato in calcestruzzo armato, le cui armature sono state da me calcolate attraverso un progetto simulato basato sul criterio delle tensioni ammissibili (quindi solo carichi verticali). Il problema è il seguente:
di fronte alle azioni sismiche, calcolate seguendo NTC2008, si presentano alcuni elementi trave con un rapporto Msd/Mrd dell’ordine di 2000.
Questo perché elementi che sono state progettate a pressoflessione (in base alla simulazione) devono essere verificate a TENSOflessione.
La domanda finale è la seguente:
E’ possibile attraverso l’uso di FRP risolvere questo problema, oppure è necessario con questi ordini di grandezza diversi tipi di interventi? E se si quali?
Cordiali Saluti

Ing. Angelo De Marco


In generale un edificio intelaiato in c.a. si può modellare come un organismo tridimensionale dotato di impalcati rigidi e resistenti nel piano orizzontale. In questo caso la sollecitazione prevalente nelle travi è la flessione in quanto lo sforzo assiale è in genere trascurabile perchè assorbito dall'intero impalcato. Desta perplessità quindi la segnalazione di sollecitazioni di tensoflessione nelle travi (all'esito della verifica) ed anche quella di pressoflessione in sede di dimensionamento simulato.
Per proseguire la discussione occorrerebbero quindi più approfondite informazioni sul modello assunto.
In generale non sono le travi degli edifici esistenti ad essere particolarmente carenti all'esito di una valutazione di capacità sismica (specialmente con analisi non lineari) MA i pilastri soggetti a pressoflessione ed a volte anche a forte decompressione.

PL 29 aprile 17


Sono Presidente di una Commissione Sismica e un suo ex allievo anni ‘80.
Le chiedo se mi è concesso: Se ci può stare l’interpretazione del punto 7.4.6.1. della norma o è una carenza di chiarezza?

1) Ho dato l’Autorizzazione ad un collega che ha utilizzato in opera (con il 300) travi 120x40 (non secondarie) con solaio da 25(con 500 di accident.) e simmetriche su pilastri da 40 e con armature diffuse su tutti i 120. Secondo lui, una trave di 1 cm più alta del solaio è una “trave alta” e “comunemente”, in gergo tecnico significa a “spessore di solaio”. Altri colleghi forti della parola “pilastro” usata dalla norma, inseriscono dei setti e derogano lo stesso dal punto di norma.
Oltretutto, le travi sono da cm 840 con solai ad interassi di cm 680 e dal controllo manuale non verificano neppure a soli carichi verticali (e senza neppure pensare alle scacchiere, ma solo con coefficienti di continuità), ma il programma edilus le da verificate con tutte le condizioni di carico e tutte le sue combinazioni.

Risposta:
La normativa dice che “La larghezza b della trave deve essere ≥ 20 cm e, per le travi basse comunemente denominate “a spessore”, deve essere non maggiore della larghezza del pilastro, aumentata da ogni lato di metà dell’altezza della sezione trasversale della trave stessa, risultando comunque non maggiore di due volte bc, essendo bc la larghezza del pilastro ortogonale all’asse della trave.” Al di là del fatto formale, di cosa sia una trave bassa, il problema di cui si preoccupa la normativa è quello della trasmissione delle sollecitazioni (taglio e momento flettente) dalla trave al pilastro. È da sempre noto che nella verifica a taglio di una trave a spessore non si può considerare tutta la sua larghezza, perché la sollecitazione di taglio si trasmette al pilastro attraverso un’area legata alla larghezza del pilastro ed allo spessore del solaio (classicamente, con l’idea di una diffusione di tensioni a 45 gradi fino all’asse del solaio, che genera le indicazioni della normativa). Bisogna però considerare che, se sul pilastro confluiscono travi emergenti o a spessore ortogonali alla trave in considerazione, il taglio può essere trasmesso dalla trave a spessore alle travi ortogonali e da queste al pilastro, il ché farebbe venir meno l’imposizione sulla larghezza. Un problema analogo può esservi nel caso del momento flettente, non per carichi verticali (perché in questo caso il momento flettente si trasmette da trave a trave) ma per azione sismica (che si trasmette da trave a pilastro). Occorre però tener conto che: (1) se l’edificio ha un buon numero di travi emergenti, le travi a spessore sono sicuramente secondarie e quindi il problema della trasmissione di momento flettente tra trave e pilastro non si pone; (2) quando la trave a spessore è principale, la presenza di travi ortogonali consente anche per il momento flettente una trasmissione dalla trave a quelle ortogonali e da queste (come torsione) al pilastro.
Per quanto riguarda il fatto che una trave 120x40 lunga 8.40 m che porta 6.80 m di solaio ce la faccia o no per carichi verticali, la mia sensazione è che ce la potrebbe fare con ua buona armatura a compressione (in una trave alta 40 cm l’armatura compressa può dare un contributo rilevante, cosa che non avviene con una trave alta 25 cm).

2) A tal proposito da 6 anni in tutti i controlli manuali che ho svolto nel 95% dei casi ho trovato sempre che le travi non verificano neppure a soli carichi verticali e sempre di molto, soprattutto con programmi CDS ed EDILUS, ma anche altri commerciali. Non lo so cosa calcolano, riducono la luce considerando solo quella netta ecc…, ma non ho mai trovato riscontro di ciò e la differenza è alta.
Figuriamoci se poi ho mai potuto trovare una approssimazione convergente rispetto ai suoi suggerimenti di raddoppiare i momenti ed ancora di 1.5 in CDB, per tener conto degli incr.sismici.
Io mi occupo sostanzialmente di calcoli per precompressi e prefabbricati per alcune aziende ed utilizzo da sempre i SAP ed anche quando mi trovo con qualche c.a.o. da eseguire a volte utilizzo anche il suo tel08, per cui trovo attendibili tutti i suoi suggerimenti.
Ma come ho detto, con i programmi commerciali non trovo mai alcun riscontro, neppure con l’incremento di gerarchia ai pilastri di 1.3 in CDB. In più, questi programmi portano i colleghi ad utilizzare normalmente travi portanti anche di 30x35 ecc…
Ancora peggio per le murature, ma non voglio dilungarmi.

Risposta:
Non posso commentare perché non ho dati in proposito. Posso solo dire che mi sembra che i programmatori di software siano fin troppo pignoli e questo rende poco probabile gli errori citati.

3) Noto una certa tendenza moderna, imposta per lo più dalle imprese, ad utilizzare sempre fondazioni a platea, non più alte di cm 50. Le vorrei chiedere in zona sismica cosa può causare ciò? ovvero senza mai dare una certa sostanziale rigidezza?
Anche nel suddetto caso, il collega ha usato solo un platea da 50 cm come fondazione di pilastri 40x80 (oltretutto anche questi ho trovato sottodimensionati) e ci sono armature a punzonamento di cmq 83. Ma il programma gli dà sempre tutto verificato ed io per legge non posso intervenire sulle scelte progettuali del collega (è una struttura nel campo della prefabbricazione ed in cao è fortemente forzata).

Risposta:
Considero sempre valido il criterio di realizzare la fondazione con travi o reticoli di travi alte, in modo da ridurre il rischio di cedimenti differenziali. Dal punto di vista sismico, una trave o platea abbastanza deformabile ha vari effetti: riduce il momento al piede del pilastro del primo ordine ma aumenta il valore in testa; può aumentare il periodo proprio della struttura (e questo ridurrebbe l’azione sismica). L’aspetto cedimenti differenziali può essere preso in conto dal calcolo, che potrebbe aumentare l’armatura nelle travi per questo, ma è vero che il modello non include le tamponature e quindi non fornisce alcun controllo sulla possibilità di lesioni in tali elementi per cedimenti differenziali.

4) Poi le volevo chiedere circa l’effetto che ha in zona sismica il piano interrato con pareti in cls perimetrali e pilastrate centrali libere di inflettersi?
Ovvero se si può considerare come circa un piano strutturale in meno all’edificio? Sono stato nelle zone terremotate ed ho visto, da lontano, ad Amatrice un palazzo anni ’70 – ’80 restare in piedi vicinissimo alla scuola crollata e penso che tale edificio sia fornito come di solito, di un piano interrato.

Risposta:
La presenza di un piano interrato con pareti in c.a. rende sicuramente l’edificio sostanzialmente equivalente ad un edificio con un piano in meno. Questo è ora detto chiaramente nella bozza di normativa approvata nel 2014, che forse tra non molto verrà resa applicabile.

Infine, come tifoso del Napoli le volevo chiedere, perché preoccupato, un parere sullo stadio San Paolo che ritengo avere una struttura bellissima, rispetto ai tentativi di De Laurentis di sfregiarlo.

Risposta:
Se per questo, lo stadio mi piaceva di più prima di quell’ingabbiamento in acciaio fatto nel ’90 per realizzare la copertura.

La saluto e spero di non averle dato troppo fastidio.

L’ex allievo Giuseppe Piantadosi.


Buongiorno,
sono uno studente dell'Università degli studi di Salerno e stavo studiando dal libro scritto in collaborazione con il prof. Ghersi
"edifici antisismici in c.a.".
Dall'esempio riportato nel cap. 10, così come riportato precedentemente a pag.131, la resistenza all'azione sismica è affidata agli elementi più rigidi,
cioè all'accoppiata travi emergenti pilastri allungati nella direzione in esame.
Nell'esempio calcolato il taglio di piano, questo viene ripartito quindi per i pilastri che hanno questa caratteristica.
Da qui se ne ricavano le sollecitazioni per i pilastri e quindi il taglio sulle travi.

Nel caso in cui abbia invece un edificio con tutte travi a spessore, come mi regolo?
Ripartisco in maniera indistinta il taglio su tutti i pilastri, indipentemente dalle sezioni delle travi a spessore, considerando unicamente la direzione in cui è allungato il pilastro
(nel caso avrei travi portanti 75 x 25, e travi di controvento 40 x 25)?

Non vorrei fidarmi ciecamente dei risultati sputati dal software che mi ha prestato un ingegnere e vorrei capire realmente il funzionamento della struttura.
Mi scuso per la banalità della domanda e del quesito posto.

grazie
distinti saluti

Giovanni Carra

 

 

E’ sicuramente molto utile effettuare alcune valutazioni speditive per accertarsi della affidabilità dei numeri forniti dal software. Proprio a questo scopo nel capitolo 5 del libro che hai avuto la cortesia di consultare sono fornite alcune indicazioni utili per il dimensionamento di una nuova struttura utilizzabili anche per il controllo dei risultati di un’analisi di una struttura già dimensionata (mi sembra sia il tuo caso).

Effettivamente nel caso di edificio con solo travi a spessore i criteri enunciati risultano meno affidabili ma, ad esempio, per quanto riguarda il primo piano possiamo ancora considerarli validi. Questo significa che effettivamente la resistenza dell’edificio si gioca essenzialmente sui soli pilastri allungati nella direzione del sisma. Si può quindi ipotizzare la ripartizione del tagliante sismico e le sollecitazioni nei pilastri. Questo controllo al primo ordine dell’edificio potrebbe essere già sufficiente ai fini della verifica che intendi condurre. Per gli ordini superiori occorre far riferimento a valutazioni ancora speditive ma meno semplici che si stanno mettendo a punto in vista di un prossimo libro dedicato agli edifici esistenti in c.a.

P.L. 15 maggio 2017


Egr. Prof. Lenza,

approfitto della lodevole iniziativa della discussione on-line per porre un quesito sul quale,

io ed altri colleghi, stiamo dibattendo in questi giorni e riguardante il tema su come mettere

in conto, in analisi dinamica e/o pushover, l’eccentricità accidentale nel caso di un sistema di

masse afferenti a nodi  non appartenenti a un piano rigido e, quindi, non riconducibili a un

Master-joint. Caso tipico delle strutture industriali prefabbricate magari con copertura a shed.

Ringraziando per l’attenzione e la risposta che sperò vorrà darmi, la saluto cordialmente

Sergio Vulcano


L'eccentricità accidentale serve principalmente a tener conto della possibile distribuzione non uniforme del complessivo carico accidentale (incertezza nella localizzazione delle masse)  ma nel caso delle coperture di capannoni industriali il carico accidentale  (da manutenzione) si considera nullo in condizione sismica (condizione quasi permanente) e di conseguenza non si determina eccentricità accidentale delle masse.

In generale nel caso  sia previsto, in condizione sismica, un carico accidentale su di un sistema privo di impalcato rigido si può ipotizzare che il valore complessivo di questo si disponga tutto su una porzione della copertura determinando quindi un'eccentricità del baricentro delle masse che, in un sistema disarticolato (privo di impalcato rigido), si traduce nell'attribuzione per competenza geometrica di una maggiore massa ad alcuni nodi strutturali.

PL 7/10/2017


 

Sono un professionista e, dopo aver letto il testo del Prof. Ghersi “IL CEMENTO ARMATO” Flaccovio Editore, sono andato sul sito del Prof. e ho trovato l’indirizzo mail di cui sopra perché avrei bisogno di un chiarimento riguardo ai controlli di accettazione sul calcestruzzo gettato in opera.

Precisamente:

Se ho getti di entità inferiore a 1500 mc posso effettuare controlli di tipo A

Se ho getti di entità pari a 1500 mc devo effettuare un controllo di tipo B

Se invece avessi getti, ad esempio di 1800 mc, come devo procedere? Due controlli di tipo B (più oneroso) oppure un controllo di tipo B e uno di tipo A (meno oneroso)? (Sempre rispettando la regola di effettuare un prelievo ogni 100 mc di getto oppure per ogni giorno di getto). 

Grazie

Ing. Baiocco Riccardo


Non ho particolare esperienza in merito ma spero che qualche collega che abbia operato frequentemente come Direttore dei Lavori possa dare una risposta più smaliziata.

A me sembra che se si prevede di realizzare complessivamente getti di calcs di 1800 mc sia necessario fin dai primi getti operare con controlli di tipo B.

PL 8/10/2017


 

Buongiorno, vorrei avere delucidazioni in merito alle strutture miste; la norma NTC 2008 ne parla solamente nel capitolo 7 al punto 7.8.4 in merito agli edifici con struttura in muratura + altri sistemi costruttivi, mentre per quanto riguarda gli edifici esistenti la circolare 617 ne fa cenno al punto C8.7.2 "Costruzioni in c.a. o in acciaio" dove dice che "differentemente dalle nuove costruzioni alcuni elementi considerati non strutturali ma comunque dotati di resistenza non trascurabile o anche strutturali ma comunemente non presi in conto nei modelli, possono essere presi in conto nella valutazione di sicurezza globale della costruzione purché si dimostri la loro efficacia".

La domanda è, ad esempio una struttura con pilastri in c.a. e acciaio nello stesso piano è ammessa? si definisce mista? inoltre, nel caso gli elementi di una tecnologia o dell'altra non soddisfino i requisiti delle strutture secondarie (p.to 7.2.3 dell NTC) si possono far collaborare alla resistenza nei confronti dell'azione sismica i telai in c.a. e in acciaio (come dice la circolare 617 al punto suddetto per gli edifici esistenti) con un analisi lineare? magari adottando un fattore di struttura unitario? 

Grazie

Michele Clemenzi

 


La normativa tecnica non può esaurire la vastissima casistica delle situazioni. Occorre quindi assumere decisioni ispirate ai principi espressi dalla norma, temperate dal,buon senso e dalla prudenza.

Nel caso di struttura mista con pilastri in acciaio e calcs è da prendere in considerazione trascurare il contributo irrigidente e resistente (per azioni orizzontali) dei pilastri in acciaio che andrebbero quindi modellati come "pendoli" chiamati a portare solo  il carico verticale.  Nel caso che si voglia (o si debba) tenerne conto introdurremo nel modello anche questi elementi con la loro rigidezza meccanica. In caso di analisi lineare con spettro di risposta direi che è sufficiente adottare i parametri (ad esempio coefficiente di struttura) nella misura più severa sancita dalle due tecnologie. L'uso di un coefficiente di struttura unitario mi sembra eccessivamente gravoso.

Ovviamente un'analisi statica non lineare supererebbe queste incertezze operative.

PL 07/10/2017


 

Caro prof. sono l'ing. Aniello La Mura laureato con lei in ingegneria civile edile nel 1997 con una tesi sperimentale sugli edifici in muratura.

Volevo chiedere delle delucidazioni in merito alla verifica dei nodi di edifici in c.a. esistenti.

In particolare il mio caso riguarda un fabbricato realizzato nel 1996 con pilastri 30x60 e travi a spessore di solaio, nel caso specifico di verifica del nodo ho un "travone" largo 120x25 cm armato con 11fi16.

Applicando le formule previste dalla normativa (7.4.7) e in particolare con la 7.4.12 mi trovo degli sforzi nel nodo  (circa 900 kN) non assorbibili da normali sistemi di rinforzo.

Inoltre il fabbricato presenta un balcone su tutto il perimetro (il nodo si può considerare confinato????) come eseguire l'eventuale se fattibile intervento????

Nel ringraziarla per la sua disponibilità, le invio cordiali saluti.

 

STUDIO TECNICO

Ing. Aniello La Mura


La Normativa è molto severa per quanto attiene la verifica dei nodi nelle nuove costruzioni e l'argomento è stato già discusso in questo sito (vedi interventi precedenti) avanzando anche un'ipotesi (distribuzione del taglio nodale tra i nodi strutturali del telaio) di mitigazione delle conseguenze di tale severità. Nel caso però di nodi a spessore di solaio la sensazione è quella di una minore vulnerabilità. Questa peraltro può giustificarsi considerando il confinamento del nodo. Nella direzione del "travone" questa è evidente, nell'altra direzione probabilmente non vi è alcuna trave ma sicuramente un taglio nodale basso e comunque anche il solaio con la sua fascia piena e/o semipiena determina un confinamento. Anche per i nodi di perimetro la presenza del balcone (a sbalzo) esercita un'azione di confinamento. Ovviamente queste mie considerazioni si basano sulla sommaria descrizione del caso.

 

PL 08/10/2017


Egr.Prof. Lenza

 

Chiederei un parere circa la verifica a pressoflessione deviata.

Le NTC prevedono la formula 4.1.19 (ex 4.1.10), formula che, a mio modesto parere, è eccessivamente

cautelativa oltre che un po’ troppo semplicistica.

In un attuale lavoro per la classificazione sismica di un fabbricato , se seguo NTC, per verificare tutti i pilastri

devo adottare una ag <0.04, mentre, applicando altri metodi che si riferiscono al dominio di resistenza tridimen

sionale (p.es. il programma VcaSlu del Prof Gelfi o altri), trovo che tutti i pilastri sono verificati per ag=0.06.

Nel primo caso l’edificio finisce in classe G e nel secondo in classe D: una bella differenza!

Come fare a convincere il G.C. che altri metodi sono “di comprovata validità”??

Grazie

Sergio Vulcano.


Le NTC stabiliscono che in caso di  pressoflessione deviata la verifica può essere effettuata con l'espressione binomia 4.1.19. Si tratta  di una possibilità non di una prescrizione vincolante. La verifica quindi può essere effettuata anche in maniera più rigorosa attraverso la costruzione del dominio di resistenza tridimensionale. In ogni caso la correttezza ed il rigore del risultato può essere dimostrato a posteriori. Voglio dire che se le sollecitazioni interne restituiscono i momenti agenti intorno ai due assi e lo sforzo assiale e se le deformazioni hanno andamento lineare (conservazione piana della sezione) la soluzione proposta è  equilibrata e congruente oltre che unica..

PL 12 marzo 2018


 

Egregio professore,

sono uno studente del corso di laurea magistrale in ingegneria civile che, per sostenere l’esame di Costruzioni in Zona Sismica, ha deciso di acquistare il suo libro: ”Edifici antisismici in cemento armato”.

……………………………..

Avrei  un quesito, forse banale, da porle, in merito al predimensionamento di una struttura a pareti, da lei trattato nel capitolo 5.

In particolare vorrei chiederle se una parete in cemento armato, in questa fase, possa essere considerata come un pilastro, calcolando le rigidezze con la classica espressione K=12*E*I/h^3 ed il momento con M=0.5*h*V.

Vorrei sapere anche se i momenti delle travi su pareti si ottengano con l’equilibrio al nodo, considerando i momenti superiori ed inferiori dei setti che convergono nel nodo in esame

Cristian Lazzari

 


E' necessario chiarire che il libro tratta quasi esclusivamente la tipologia strutturale dell'edificio intelaiato con travi e pilastri. La tipologia con pareti , alla quale con Ghersi pensiamo di dedicare spazio in una prossima edizione del libro, è significativamente diversa. Proprio nel capitolo 5, dedicato alle procedure di dimensionamento della tipologia intelaiata, si accenna alla diversità tra le due tipologie. Quindi tutte le indicazioni contenute nel capitolo 5 non sono applicabili alla tipologia di edifici con pareti in c.a..

 

PL 5 maggio 2018